SPIGOLATURE
SEMINARESI
da
Internet Archive
sulla
Storia di Seminara e dintorni.
Vengono qui raccolte più o meno, ma
anche brevi e brevissime citazioni riguardante la Storia di Seminara, ovvero
fatti e notizie di ogni genere, che possono riguardarla, digitalizzate e
presenti in Internet Archive o in altri archivi digitali accessibili via
internet. Sono disposte in ordine cronologico o alfabetiche, ovvero per
dizionari tematici, a seconda della natura e della consistenza quantitativa. La
storia di Seminara, essendone disperse le fonti principali, soprattutto per i
per i più antichi, è possibile solo con una capillare raccolta frammentaria. I
singoli frammenti devono poi essere posti in relazione l'uno con l'altro per
tentare di comporre per quanto possibile un quadro d'insieme. È una ricerca che
oggi è resa possibile da una crescita esponenziale degli archivi digitalizzati,
resi di pubblico accesso. Di ogni frammento verrà data la fonte digitalizzata.
Per loro natura i dati così raccolti in questo singolo testo in formato word e
quindi pdf vengono continuamente rielaborati. Delle citazioni estratte è dato
sufficiente contesto per migliorarne l'intellegibilità. Il testo che è noi
interessa è messo in corsivo. Parentesi quadre [] vengono inserite dove
opportuno. Il testo è da me originato in formato word, dal cui interno è
consentito il collegamento web. lo stesso testo è dato in un formato pdf
scaricabile e pubblicato in Taurianum, dove diventano nuovamente attivi i
collegamenti web.
#1Notizie
disposte
per ordine cronologico.
1259:
«Guglielmo [Telesio]: Cavaliere di Federico II e Signore di Santangelo e di
Seminara, diede alcune terre nel 1259 al Cenobio di S. Caterina di Seminara.»
(p. 214)
- Memorie delle Famiglie Nobili delle
Province Meridionali d'Italia, volume 5°, p. 27. Di Berardo Candida
Gonzaga,
Napoli 1879.
1490: «Paolo
[Ammone] – Avendo favorito il partito Angioino al quale fu fedele la città di
Sorrento, fu spogliato de’ suoi averi, che poi riebbe da Re Ferrante I di
Aragona. È Regio Capitano del Contado di Arena nel 1490, e poi di Seminara. È
nel 1495 eletto Sindaco del Seggio di Porta e presta omaggio a Carlo VIII di
Francia al quale chiede le prerogative per la Università di Sorrento e suo
piano. Delibera nel 1509 con gli altri nobili la edificazione del Castello,
ordinato da re Ferrante I d'Aragona.»
- Memorie delle Famiglie Nobili delle
Province Meridionali d'Italia, volume 5°, p. 27. Di Berardo Candida
Gonzaga,
Napoli 1879.
1503: «E
qui noteremo che la seconda porta del nostro Borghetto, entrando in Città
[Seminara], la quale un tempo preceduta era da un Ponte a levatojo, a memoria
di uomini viventi, e che à dato il nome all'attuale vico Accorciatojo detto il
Ponte, era stata costruita in quel tempo, e propriamente nell'anno 1503, come
osservavasi dal millesimo scolpitovi in uno dei laterali di sinistra di detta
porta, e da noi letto[1],
ma da poco venne inavvedutamente distrutto nel darsi forma più elegante alla
porta stessa» (p. 78).
- Storie di Locri e Gerace, in ordine ed in rapporto con le
vicende della Magna Grecia, di Roma, e del Regno delle Due Sicilie,
distribuite in due parti. Parte Seconda. Opera di
Pasquale Scaglione, Napoli 1856.
1536: «[Ferrante
Spinelli] vendè egli nel 156 i feudi di Fuscaldo, Guardia e Pantana a Carlo
Spinelli Duca di Seminara.» (p. 195)
- Memorie delle Famiglie Nobili delle
Province Meridionali d'Italia, volume 5°. Di Berardo Candida
Gonzaga,
Napoli 1879.
1553:
«Il ramo degli Spinelli Conti di Cariati, Duchi di Seminara e Duchi di
Castrovillari, Marchesi di Mesuraca e Conti di Oppido, si estinse in Francesca
nel 1553 sposata a Scipione Spinelli Duca di Seminara il cui ramo si estinse in
Scipione, il quale ebbe due figliuole, delle quali la prima sposò Nicola
Spinelli Marchese di Fuscaldo» (192) ».
- Memorie delle Famiglie Nobili delle
Province Meridionali d'Italia, volume 5°. Di Berardo Candida
Gonzaga,
Napoli 1879.
1560:
«Fondò Carlo [Spinelli] in Seminara il Convento di S. Maria della Grazia nel
1560».
- Memorie delle Famiglie Nobili delle
Province Meridionali d'Italia, volume 5°. Di Berardo Candida
Gonzaga,
Napoli 1879.
1593:
Muore in Seminara Fra Giovanni, secondo quanto se ne racconta nella Calabria
Illustrata di Giovanni Fiore da Cropiani, a pag. 146.
- Della Calabria Illustrata, Tomo Secondo, del M.R.P:
Giovanni Fiore da Cropani, in Napoli, MDCCXLIII.
1606:
Benedetto da Seminara, in Calabria «fu Guardiano, Lettore, Diffinitore, e
Provinciale tre volte, cioè l'anno 1606, 1615, e 1621», a pag. 164.
- Della Calabria Illustrata, Tomo Secondo, del M.R.P:
Giovanni Fiore da Cropani, in Napoli, MDCCXLIII.
1609:
«Gratie Miracolose fatte dal Padre San Domenico in Soriano à molte persome venute
alla Festa nell'Anno 1609»: ... «7. Giovan Domenico Dominici di due anni in
circa, figlio di Michele Dominici da Seminara con una febre pericolosa, fatto
il Voto hebbe la grazia... 10. Matteo Criceri da Seminara d'anni 45 incirca con
infermità pericolosa, & risipola, disperato da Medici, fatto il Voto subito
hebbe la gratia... 13. di 33 anni, con febbre pericolosa, fece Voto, e ricevè
la gratia di subito... 21. Giovanni Cesare di Seminara d'anni 30 con una febbre
maligna, disperato da Medici, fatto il voto, hebbe la gratia... 26. Giovan
Domenico Latino da Seminara d'anni 22 con una postema sotto l'ascella
pericolosa, fatto il Voto hebbe la gratia... 34. Francischella la Torre di
Seminara, havendo il marito in pericolo gravissimo della vitam fece Voto, e
subito hebbe la gratia... 35. Giovanni lo Faro di Seminara d'anni 25 con febre
maligna disperato da Medici, fece Voto, & hebbe la gratia... 37. Bernardino
Giofrè di Seminara preso carcerato con pericolo della vita, fù liberato... 41. Antonello Vangelista d'anni 35 con due
terzane continue con pericolo grande, fatto il Voto hebbe la gratia... 42.
Fabritio Evangelista da Seminara d'anni 25, con diversi infermità per due anni
continui, fatto Voto hebbe la gratia subito... 52. Antonia Mazzeo da Seminara
di anni 30 con infermità mortale, fatto Voto hebbe la gratia... 53. Gioseppe
Loria di Seminara d'anni 40, infermo d'infermità gravissima, fatto il Voto
hebbe la gratia... 58. Santoro Carbone da Seminara con mal caduco, fatto voto
hebbe la gratia... 60. Antonio d'Oria da Seminara d'anni 25 con febre disperato
da Medici, fatto Voto hebbe la gratia... 61. Fabritio Zetera di Seminara d'anni
35 afflitto da dolori, che per trè giorni fu quasi morto, fatto Voto hebbe la
gratia di subito... 83. Giovan Leonardo Lusanà d'anni 30, con infermità che
quasi haveva perso l'occhi, fatto il Voto, hebbe la gratia... 84. Giovan
Battista Sganà [sic] da Seminara d'anni 4, con febre continua, fatto il voto,
ricevè la gratia... 88. Margarita da Seminara d'anni 40, havendo dolori di testa,
che non poteva haver requie, fatto voto di tagliarsi le treccie, e portarle per
voto a Soriano alla Chiesa del Santo, subito hebbe la sanità... 90. Antonino
Trensi della Città di Seminara d'anni 50, con una mano, quasi secca, fatto il
voto, hebbe la gratia... 102. Cola Giacomo Colagiuri da Seminara d'anni 50 con
malattia di febbre continua, fatto voto, & hebbe la gratia... 108. Frà
Nicola Farina Cavaliero di Malta da Melicuccà di Seminara, infermo d'infermità
mortale, fatto il voto, hebbe la gratia... 110. Scipione da Napoli, Giulio
Cesare e Giovan Battista Oliva, e Cornelia Morabito da Melicuccà di Seminara,
il primo con infermità incurabile, e l'altri con infermità di febre, disperati
tutti da Medici, hebbero la gratia... 115. Santoro Trentinello da Seminara
d'anni 50, con puntura, e febre, disperato da Medici, fece voto, hebbe la
gratia... 118. Giovan Battista Trentinella da Seminara d'anni 30. perseguitato
per morte d'huomo, inquisito, essendo innocente, fatto voto hebbe la gratia,
senza andarne anco carcerato... 163. Il Signor Ferrante Grimaldi d'anni 47 da
Seminara con un dolor di fianco, ch'era quasi morto, hebbe la gratia.
1614: Pag. 185:
«Invocato il Santo partono i demonii da due corpi ossessi: Quanto sia grande il
nome del Santo Patriarca contro i
demonii infernali lo sperimentarono à suo prò nel medesimo anno [1614] due ossessi,
l'uno fu Francesco d'Aquino da Seminara, che malamente tormentato per molt'anni
da un maligno spirito, col solo raccomandarsi à S. Domenico si sentì libero
affatto, senz'haver mai più sentito veruno de' suoi tormenti…».
1615:
Benedetto da Seminara, in Calabria «fu Guardiano, Lettore, Diffinitore, e
Provinciale tre volte, cioè l'anno 1606, 1615, e 1621», a pag. 164.
- Della Calabria Illustrata, Tomo Secondo, del M.R.P:
Giovanni Fiore da Cropani, in Napoli, MDCCXLIII.
1621:
Benedetto da Seminara, in Calabria «fu Guardiano, Lettore, Diffinitore, e
Provinciale tre volte, cioè l'anno 1606, 1615, e 1621», a pag. 164.
- Della Calabria Illustrata, Tomo Secondo, del M.R.P:
Giovanni Fiore da Cropani, in Napoli, MDCCXLIII.
1622, 14 marzo:
Muore in Seminara Benedetto da Seminara, come da Lapide. Erroneo Giovanni Fiore
che scrive 14 marzo 1627, a pag. 165: « Si
unse, e dopo un'ora, e mezza li 14 marzo del 1627[2]
spirò l'anima, sempre riguardando l'Immagine del Crocefisso.»
1627: «Nell'Anno
1627, 117., Agostino Mallarbi di Triserica casale di Seminara venuto à morte,
perso il senso, e la parola per dolori colici fierissimi duratili molti giorni,
si raccomandò internamente al Santo, e fè voto di portare à Soriano alquanta
seta, e subito si senti internamente affidare, e dire che non dubitasse, e nel
medesimo tempo cessati i dolori fù sano».
1676: La
famiglia Gariano di Seminara: «Sana un moribondo. Hebbe cotanto à male
Francesco Gariano, Città di Calabria, Dottor Fisico, ch'un suo figlio nomato
Emanuele havesse vestito l'habito dell'Ordine de' Predicatori, che trasportato
dall'affetto paterno, che quando non è ordinato della ragione non soffre la
separatione dell'amata prole, concepì aversione non poca verso i Padri di
quell'Ordine, da cui giudicava, esser stato indotto il figlio à tal mutatione
di stato. Avvenne, ch'un'altro figlio rimastoli in casa, nomato Scipione, fu
assalito da una delle più maligne febri, che si fussero mai osservate. Si che
egli medesimo peritissimo nell'arte della medicina formò accertato giudicio,
che non potesse di tal infirmità sopravvivere. Rimase egli all'hora internamente
avvertito, esser ciò castigo del Cielo, per non haver egli voluto conformarsi
al divino volere nel passaggio dell'altro a' sacri Chiostri. Onde pentito del
fallo, e voltato in affetto tutto l'odio, che havea concepito verso i P.P.
dell'Ordine di S. Domenico, prostratosi ad un Ritratto della Celeste Immagine.
poco prima mandato dal figlio Religioso à quella casa, chiese perdono al S.
Patriarca, e lo supplicò concedesse la salute, e la vita al moribondo,
promettendoli, che in segno della futura divotione verso la Religione, si
sarebbe anch'egli vestito per un'anno intiero di lane bianche. Appena egli fè
il voto, che con sua maraviglia migliorò il moribondo, e poco appresso ricuperò
perfetta salute».
1834, 12 febbraio: «N.
1995. Decreto che separa il villaggio di Ceramida nella 1ª. Calabria ulteriore
dal comune di Seminara, e l'aggrega a quello di Bagnara. Napoli, 12 Febbrajo
1834. FERDINANDO II. PER LA GRAZIA DI DIO RE DEL REGNO DELLE DUE SICILIE, DI
GERUSALEMME ec. DUCA DI PARMA, PIACENZA, CASTRO ec. ec. GRAN PRINCIPE
EREDITARIO DI TOSCANA eC. eC. eC. Veduto l'articolo 2 del nostro real decreto
del 25 di gennajo 1820 sulla circoscrizione territoriale de' nostri reali domini
di qua del Faro; Veduto il parere della Consulta del nostri reali domini di qua
del Faro; Sulla proposizione del nostro Ministro Segretario di Stato degli
affari interni; Udito il nostro Consiglio ordinario di Stato; Abbiamo risoluto
di decretare, e decretiamo quanto segue. ART. 1. Il villaggio di Ceramida nella
1ª Calabria ulteriore sarà separato dal comune di Seminara, e verrà aggregato
all’amministrazione del comune di Bagnara. 2. Tutti i nostri Ministri Segretari
di Stato, ciascuno per la parte che lo riguarda, sono incaricati della
esecuzione del presente decreto. Firmato, FERDINANDO. Il Ministro Segretario di
Stato degli affari interni
Firmato, Niccola SANTANGELO. Il Consigliere Ministro di Stato, Presidente
del Consiglio de' Ministri Firmato, DUCA DI GUALTIERI». (Collezione delle Leggi
e de' decreti reali del Regno delle Due Sicilie).
Notizie
disposte
per ordine alfabetico.
#A.
Alagona:
«Questa famiglia fu originata nella Spagna da Ermilao Principe di Agen, il
quale era tra’ nove cavalieri francesi che nel 1121 liberarono la Spagna dai
Mori. I discendenti di lui presero nome dalla signoria di Alagona, piccola
città presso Saragozza. Blasco d’Alagona
portò la sua famiglia in Sicilia, seguendo Pietro I d’Aragona. Gli Alagona fin
dal 1365 furono onorati dai Re Aragonesi col titolo di nostri consanguinei,
hanno goduto nobiltà nelle città di Napoli al Seggio di Portanova, Palermo,
Catania, Siracusa, Reggio, Lentini, Cagliari, Malta e nel Regno di Aragona, ed
ottennero il Grandato di Spagna. Questa famiglia si diramò in Provenza. Il ramo
primogenito degli Alagona si estinse nel 1518 in Francesco Barone di Priolo.
Sorgono monumenti degli Alagona in Palermo nella Chiesa di S. Francesco. Feudi posseduti: Aci, Afaro...
Castelluccio... Seminara... » (p. 5 )
- Memorie delle Famiglie Nobili delle
Province Meridionali d'Italia, volume
3°. Di
Berardo Candida
Gonzaga,
Napoli 1879.
#C.
Calabria Illustrata:
• Cap. XLVIII:
Libro 1°, parte 2ª, p. 84: «D’alcuni Beati Cappuccini. B. Lodovico
da Reggio... nacque egli l'anno 1466... Così predicando predisse la rovina di
Palmi, picciola Terricciuola nel mar Tirreno, qual seguì non molto dopo per
opera di Dragut Corsaro turco... Da Seminara, ove predicava, rapito in estasi
nel corso della predica, con gli occhi fissi al Cielo, previdde, anzi disse,
risvegliato ch'ei fu, d'essersi ritrovato presente al funerale della Patria,
saccheggiata e rovinata dal Corsaro Barbarossa... »
• Cap. XXIV: p.
145: «Frat'Antonino Antonino da Reggio... nacque circa il 1506... camminando da
Reggio a Seminara in tempo di gran penuria, ed avendo largamente dispensata la
presa provisione per se, ed il suo compagno, divertiti poi in una vicina
fontana con sole poche oncie di pane, vi trovarono alcuni Signori, li quali
dopo la caccia si erano ivi ritirati a desinare, furono poi trattati assai
splendidamente.»
• Cap. XXVII, p.
146: «Frà Giovanni da Seminara Laico nacque da onorati parenti, e come fu
all'età di anni 16, vestì l'abito dei PP. dell'Osservanza, daì quali poi passò
a' Cappuccini, annoverato tra quei Primi. Osservò tutte le Quaresime del P:S.
Francesco, non mangiò, che una sola volta il giorno, lì Venerdi in pane, ed
acqua, ed alcuna volta la passò due intieri giorni senza gustar cosa alcuna:
alcune quaresime non assaggiò non acqua, non vino, e generalmente mai mangiò
carne. Attese con tanta applicazione all'orazione, e contemplazione delle cose
celestiali, che tutto quel tempo, qual non gli veniva preoccupato, o dalla
carità, o dall'ufficio, o dall'ubbidienza, o da una scarsissima necessità,
tutto ve l'impiegava; e più volte fu veduto rapito in estasi. Ebbe il lume
della profezia: che per tanto a cinque giovani, quali andavano per esser
ricevuti nella Religione, disse, che non tutti avrebbono ricevuto la Grazia dal
Provinciale, ma trem accendagli col dito; e che pur questi tutti professa rebbono, ma ch'uno ne tornarebbe al
secolo, come il tutto avvenne. Ad un nostro Frate, per nome Frà Girolamo da
Catanzaro, che da Polistena era ito a vederlo in Seminara, predisse una grave
infermità, fino ad esser disperato da Medici, ma che di quella non morrebbe,
come avvenne. Così ancora un tal donna, per nome Prudenza gravida, ma
quartanaria, con gran periglio, o di morte, o di aborto, risanò col segno della
Croce. Col medesimo segnò guarì un fanciullo poco men che cieco, ed un'altro da
due terzane. Guarì ancora col tocco delle mani un nostro Frate addolorato tutto
per certe tavole cadutegli sopra, e col cordone un Gentil'uomo Governadore
della Città, infermo a letto. Furono tanti li miracoli operati da questo Servo
di Dio in Seminara, Filocastro, e Terranova, che li soli di Terranova, per
detto di chi poteva saperlo, avrebbero potuto riempire un giusto volume.
Arrivato agli anni cento, de quali n'avea dati sessanta al Signore nella sola
Religione de' Cappuccini, ed infermatosi di puntura, avendo prima predetta a'
Frati la sua morte, passò all'altra vita nel convento di Seminara l'anno 1593,
e le sue carni divennero candide, molli, e manegievoli spiranti un odor di
Paradiso. Fu sì grande la calca delle genti, non pur da Seminara, ma da Luoghi
convicini, che per sodisfar a tutte, bisognò tenerlo per tre giorni continui
sopra terra, nel qual mentre, se gli stracciarono tre abiti sopra, se gli
tagliarono l'unghie delle mani, e de piedi, e se gli svelsero li capelli del
capo, e li peli della barba. Quello, che accrebbe la maraviglia fu, che a capo
di tre giorni mandò fuori un sudore così copioso, che si rasciugò con più
fazzoletti, quali poi, così come altre cose state a suo uso, operarono molti
miracoli, e fra questi risanarono una.
donna di Palmi da un fiero dolore di
braccio, ed un nostro Frate dalla febbre».
• Par.. LXXXII.
Libro I, Cap. IV, p. 163: «Frà Benedetto da Seminara si chiamò nel secolo
Marc'Antonio Leone, Famiglia nobilissima in quella Città; e perchè ancor
fanciullo dava indizj di futura santità, perciò venne allevato con molta cura
da' suoi Genitori. Tutto era inteso a fabbricar Chiesiole, ed Altarini; quanto
poteva aver dalla casa, lo distribuiva a' poveri: fatta raccolta di fanciulli
lor predicava in suo modo. Arrivato all'anno 18. di sua vita, e compiti li
studj dell'umanità, il Padre lo destinò in Napoli agli altri più gravi delle
Leggi. In questa Città di delizie, egli prese a far vita di Cappuccino: dormiva
sulle nude tavole, digiunava più giorni della settimana e onde adocchiatolo i
PP. della Compagnia, sotto la cui disciplina si reggeva quanto alla coscienza,
lo pretesero di loro abito; ma Iddio altrimenti dispose, volendolo Capuccino
con modo miracoloso. Nel mentre studiava in Napoli veniva molto travagliato dal
fegato: consultati perciò alquanti Medici, l'un di questi il più grave gli
ordinò, che andasse a lavarsi più volte coll'acque del mare. Ubbidì il
giovinetto; ma nell'andare incontrato da una nobil Matrona, vestita bianco, lo
richiese ove andasse; ed egli raccontò il tutto: gli soggiunse quella. Anzi
andate a vestir l'abito di Capuccino. Egli non tirò avanti il viaggio per ire
al mare, ma nè tampoco gli entrò nel pensiero la consulta dell'abito Capuccino.
Incontrato dal Medico, e richiestolo se si fosse lavato, rispose che nò, e
pertanto gli ordinò la seconda volta, che senz'altro si lavasse in mare.
Risoluto dunque d'ubbidire iva nel mare, ma soprarrivato dalla medesima
Signora, lo rimproverò, perché non l'avesse ubbidito: io disse allora
Marc'Antonio, non mi faccio Capuccino, perchè essendo infermo, sono certo, che
quei PP. non mi riceveranno, Nò, ripiglio l'altra, che saria ammesso senza
contrasti; ed in pena di non avermi prontamente ubbidito, tu più non mi vedrai,
che negli ultimi orli del tuo morire. Tutto
questo egli raccontò più volte a Frat'Anselmo da Francica suo Maestro di
Novizj. Vestito dunque dell'abito Capuccino fu destinato a far l'anno
dell'approvazione in Caserta, e tanto vi compiacque nella maniera del viver
nostro, che per molto avesse travagliato l'inferno, mai potè condursi ad
abbandonarlo; conciosiache intesa la sua risoluzione, tostò volò da Calabria in
Napoli Alfonso suo fratello, consigliandogli il ritorno al secolo, e dopo varj
dibattimenti, gli disse: Và fratel mio, ch'io ho ritrovato la mia felicità, e
vorrò prima morire, che abbandonar quest'abito. Così anche rispose a Frati
allor che veggendosi quasi tutto alleprito, gli consigliavano il ripigliar le
vesti del secolo. Fè dunque la professione, ma prima dispose del suo, qua'era
molto in beneficio, qual'era molto in beneficio del publico, lasciandone erede
l'Università di Seminara, con che avesse a fabricarne un'Ospedale, ch'è il
medesimo d'oggidì per ristoro de' bisognevoli. Fù maraviglioso il tenor della
vita qual'egli istitu+, fatta la professione; poiche tutto era all'orazione, e
contemplazione delle cose celestiali, agli ufficj della carità, ed agli
esercizj più bassi del Convento. Quanto a Dio fosse gradito il religioso vivere
di questo suo Servo volle manifestarlo con un caso singolarissimo. Dimorando
egli di di Famiglia in Nocera de Pagani fu priegato da un un Frate, che
l'accompagnasse nel palco del Duca, dove la varia moltitudine delle fiere
selvagie rendeva quanto più curiosa, tanto più vaga la vista de' riguardanti.
Non voleva egli andarci, ma alle replicate istanze dell'altro, che gli
anteponeva l'ufficio di carità, per sollievarsi con quel vago spettacolo da una
noiosa convalescenza, finalmente il compiacque. Come prima furono entrati nel
palco, tosto il compagno venne assalito da un cervo; ma la debolezza di lui non
potendo fargli resistenza, obligò la carità del giovane Frà Benedetto (tal era il suo nome dopo la professione), ch'era più
robusto, al soccorso. con tre mortalissime ferite alla gamba, al fianco, ed
alla fronte, il lasciò come morto. Ricondotto in Convento, ed inteso dal Duca
l'accidenti occorso, inviò di subito li migliori Cirurghi potè avere in que
tempo, e luogo, quali venuti ritrovarono la ferita del fianco molto pericolosa.
La notte fu in sua cella, ma senza vederla di volto, la Vergine, e con le sue
mani guarì la piaga, come piaga di carità; onde ritornati la mattina li
Cirurghi la ritrovarono all'intutto sanata, con maraviglia, e gusto di tutti,
singolarmente del Duca, il quale poi volle condurvelo egli medesimo, come
seguì, con ordine espresso del Superiore; ma come prima entrarono in palco,
ecco il cervo feritore, non nemico, ma penitente, il quale dopo d'averlo
accolto amorevole, saltò su d'un'albero, nel quale fra due tronchi restò
volontariamente appeso, accrescendo, e la maraviglia, e la sodisfazione de'
riguardanti. Applicato alli studi di filosofia e di teologia, vi si profitò
tanto, che senza dubiezza divenne l'uno de' più insigni Teologi del suo tempo;
onde lesse per più anni l'una e l'altra facoltà, con utile immenso della
religione con tante parti*, che sembravano miracolose le conversioni, quali
seguivano le sue prediche; onde perciò ne acquistò l'applauso d'Appostolo della
Calabria. Fluttuando la Francia, fra molte turbolenze di Religione fu insieme
con P. Crisostomo di Brindisi (anch'egli alleivo di questa Provincia) destinato
ivi dal Generale dal Sorbo. Scorsi sino a Brescia per appredere l'idioma
Francese, non oltre passarono, impediti dalla sopravvenuta pestilenza.
Quantunque per la sua molta dottrina avesse potuto comporre opere gravissime di
materie scolastiche, singolarmente teologiche; nulladimeno non attese, che a
comporre opere spirituali, fra le quali fu quella, ch'egli chiamò Dottrina
Cristiana. Sparsa da per tutto la fama de' suoi talenti, venne dal proprio
merito alle Prelature, e fu Guardiano, Lettore, Diffinitore, e Provinciale tre
volte, cioè l'anno 1606, 1615, e 1621. Predicò 36 quaresimali, e di questi sei
nella sua Città, nell'ultimo dei quali si compiacque coronarlo con la gloria
de' fruttuosi operai della sua vigna. Condottosi dunque per tal occasione in
Seminara alquanti giorni prima della quaresima, un giorno chiamato a se il
Guardiano, e portatolo dentro la Sagrestia, qui, gli disse, additandogli un
luogo per di sotto ad un'antica Immagine della Vergine, porrete il mio corpo,
tosto che sarò morto, che non passerà oltre di là Domenica quarta di questo
corso quaresimale: Predizione, ch'anche la significò a molti altri. La prima
Domenica della venuta quaresima fu tenuto a pranzo da Maestro Giacomo
Conventuale, nella cui Chiesa egli predicava, ed abbattutisi a favellar del
miracolo, qual'ora Cristo con cinque pani, e due pesci satollò quella
moltitudine di cinque mila affamati, (ch'è il Vangelo della quarta Domenica) oh
disse il Capuccino al Conventuale, quella predica, e l'altra seguenti
resteranno a V.P. A cui l'altro, ed ella che farà? Io, disse, spero ritrovarmi
altrove. Il Giovedì della terza Domenica, predicando fè alla Città una larga
offerta delle sue orazioni, con anche raccomandarsi, per esserne accompagnato
nel lungo viaggio, che senza più vedersi, era fra pochi giorno per
intraprendere. Che se bene non tutti l'abbiano inteso del viaggio della morte,
non per tanto non furono accompagnate quelle parole con gravissimo sentimento
per la sua assenza. Scese dal pulpito con la febre, e di là al Convento,
assistito non pur da Frati, ma da tutta la Nobiltà, che quasi tutta per diversi
congiongimenti abbracciava. Posto in letto servito da più Medici, io diceva,
piglio questi medicamenti, non perché ne speri la salute: la mia morte è
certissima, ma per soddisfare a' parenti, per non lasciarli raddoppiatamente
attristati. E tuttavia aggravandosi la febbre, preso in mano quel suo
manuscritto accennato di sopra della Dottrina Cristiana, con altri suoi scritti
di prediche, e consegnatili al Guardiano. Pigliate, disse, che volentieri li
restituisco alla Religione, in nome della quale sempre l'ho tenuto. La mattina
della 4. Domenica, chiese a' circostanti, qual giorno era quello, e
rispostogli, che la Domenica quarta, alzò la voce con gran giubilo, e disse: Laetatus
sum in bis, quae dicta sunt mihi; Indi chiamato il Guardiano, si fè portare
il Sagro Viatico, quale avrebbe voluto incontrare fuori di cella; ma impeditone
dalla debolezza, si contentò di riceverlo sul proprio letticciuolo con maniere,
ed umili, e riverenti. Fè un lungo discorso, essortando li Frati all'osservanza
della promessa Regola. Ringraziò con vivi affetto la Religione, perchè tanti
anni l'avesse alimentato. Chiese a tutti perdono, se per ventura alcuno si
fosse offeso del suo amminisytrato, replicando più volte che se in ciò errò,
come d'aver errato, o d'aver potuto errare confessava, inconsideranza fù
dell'intelletto, non già colpa della volontà. Indi voltandosi con la faccia al
muro, ov'era l'Immagine di Cristo crocefisso, orò alquanto con le braccia
aperte. Venuto fratanto l'Oglio Santo, volle recitar li Salmi penitenziali,
cioè un versetto egli, e li Frati l'altro. Si unse, e dopo un'ora, e mezza li
14 marzo del 1627[3]
spirò l'anima, sempre riguardando l'Immagine del Crocefisso. Fu non ignobil
conghiettura, che in quelli estremi avesse goduto della vista della Vergine,
l'avergli Ella detto, replicandogli l'ordine di passar tra Capuccini, che non
li vedrebbe la seconda volta a volto aperto, che nell'ultimo della sua morte.
Divenne il suo corpo, per altro duro, e macilente, di color vago, e
maneggevole, come se fosse di un fanciullo vivente, continuando nel suo calor naturale,
e senza odore cattivo per cinque giorni appresso. Il concorso fu mirabile,
altri lodando Dio nel suo servo, altri piangendone la perdita. Fu posto dentro
una cassa, e sepelito, ov'egli ancor vivo avea ordinato. Nè mancè Iddio di
chiarire la santità del suo Servo con la gloria de' miracoli, ed in vita, e
dopo la morte. Predicando l'una delle quaresime in Seminara, Maria Grimaldi sua
nipote travagliata da acerbi dolori di parto, mandò a raccomandarsi aFrà
Benedetto, a cui egli, non è tempo; oltre più avanzandosi li dolori, raddoppiò
l'ambasciata, ed egli: dite a Maria che prenda ristoro, e si racconsoli, che da
qui ad un'ora darà alla luce un maschio, come avvenne. Andato poi a visitar la
Signora, volle vedere il Bambino, e presolo fra le braccia, Iddio ti benedichi,
gli disse, quindi rivolto alla madre, tenetelo caro, le soggionse: Egli sarà
Religioso. Fu Religioso Domenicano, e per memoria ne prese il nome di
Benedetto. ».
- Della Calabria Illustrata, Tomo Secondo, del M.R.P:
Giovanni Fiore da Cropani, in Napoli, MDCCXLIII.
Croniche del convento di S. Domenico
in Soriano:
• Il Sepolcro di S. Filareto, in
Seminara: p. 152:
[S. Domenico di Soriano sana un Frenetico, Menalao Scavallati, nativo della
Terra di Soriano]: «…essendo in Seminara il Sepolcro di S. Filareto, che hà
mostrato in tutti i tempi passati, come dimostra ancora al presente gran virtù,
e forza sopra i Demoni, si disposero condurre il giovane à quel sepolcro, acciò
e per le virtù del Santo, e per l'aiuto de' Padri, che dimorano in quel luogo,
prattichissimi dell'arte dell'essorcizzare, fosse libero da quello spirito, che
per avventura il tormentava. Mà l'andare al sepolcro di quel Santo, l'esser
essorcizzato da quei Monaci molte volte, non solo non guarì il male della
frenesia, ma per esser all'hora i caldi estremi, e per aver molto faticato
l'infermo, il quale d'ogn'altra cosa havrebbe havuto più bisogno, che di tali
essorcismi, e viaggi, gli s'aggravò talmente il male, che non havendo
potutopigliar un momento di riposo, ò di sonno…».
• Pag. 160: «Un
Fanciullo preso da' Banditi, per farne il riscatto, è liberato da San Domenico.
Su la riva del mare, vicino à Seminara, è posta una Terra chiamata Gioia, la
quale per esser vicina ad una selva assai ben folta, è sottoposta anco alle
scorrerie de' Banditi, che quivi si ricoveranno. Eravi dunque un'huomo,
nominato Santoro Silipingui, il quale haveva un figliuolo tanto caro; quanto che
era unico, & il sostegno della casa sua, sopra questo giovanetto, che
haveva intorno a quattordici anni, fecero il maligno disegno i Banditi, &
aspettando un giorno, ch'egli uscisse dalla Terra, inaspettatamente lo
pigliarono, & lo condussero alla sopraddetta selva d'Aspromonte, e tosto
mandarono a dire al Padre, ch s'egli voleva vedere il figluolo vivo, che in
termini di sei giorni mandasse loro trè mila ducati, altrimenti glie
l'haverebbero mandato morto, & ucciso. Tal nuova fù di dolore inestimabile al
Padre, perchè non potendo mettere insieme tanta somma di denari, stimò di
sicuro morto il figliuolo senza potergli dare aiuto alcuno. E benchè l'infelice
Padre tentasse in questo tempo con i ladroni di sminuir così gran somma; con
tuttociò non volsero eglino acconsetire, nè accordarsi à patto alcuno. sì che
non sapendo più come si fare se ne affligeva sopra modo, aspettando di giorno
in giorno di sentir la morte del figliuolo. Stava dall'altra parte il
giovanetto molto timoroso, e non videndo comparire il riscatto, s'accomodò
divotamente al morire, non però lasciò mai dal primo giorno, ch'egli fu
pigliato dagli Assassini di raccomandarsi al Patriarca San Domenico in Soriano,
che si degnasse liberarlo dalle mani dalle mani di così cruda, e barbara gente,
e questo più affettuosamente faceva, quando andava à dormire, pensandosi, che
la notte dormendo gli havessero à togler la vita. Ma ò pietà di San Domenico,
mentre il divoto giovanetto nel dormire, pensava d'essere ammazzato, consultava
il Patriarca di dargli la vita, & apparendogli la notte, avanti al giorno,
determinato per ammazzarlo, lo destò, e presolo per la mano, gli disse: Non
temere figluolo, che io sono venuto in tuo soccorso, stà di buona voglia, &
seguitami; il che facendo il Giovanotto, fù condotto fino alla porta di
Gioia, & all'hora il santo di nuovo gli disse: Hor è tempo che da te
stesso te ne vadi à casa tua, poichè sai la strada. E domandandogli il
fanciullo, chi egli fosse, gli rispose: Io son Domenico servo di Dio, al
quale tante volte ti sei raccomandato, e ciò detto subito disparve. Onde il
figliuolo arrivato à casa, fù di somma contentezza, e di stupore al Padre,
& alla Madre, e raccontogli: non senza lagrime di ciascheduno ogni caso
accaduto, se ne andarono con molta prestezza à Soriano à ringraziare il Santo
Patriarca, & in segno di gratitudine gli portarono cento scudi, che
havevano incominciato à mettere in disparte, per riscattare il figliuolo.
• Pag. 161:
«[S. Domenico di Solano] salva uno dalle mani de nemici, ancorche gravemente
ferito. Giulio Christofaro da S. Anna Casale di Seminara, benché havesse molte
inimicitie, e vivesse in continui odij, e rancori, non tralasciando cosa di
male, che non fosse in animo di fare in detrimento de' suoi nemici, nulla di
meno trà tanto furore ne' peccati, si può dire, che havesse un poco di lucido
intervallo, con esser divoto del Patrarca S. Domenico in Soriano; onde soleva
digiunare un giorno della settimana per gloria del Santo, e raccomamdarsi a lui
per lo scampo d'ogni suo pericolo. Ma perche gl'avversari andavano considerando
ogni suo andamento, accorgendosi, ch'egli traviava loro, cominciarono à
insidiargli alla vita di maniera, che crescendo tuttavia l'odio verso di lui,
non si chiamavano contenti, se non l'havessero ucciso, e lavatosi le loro mani
nel suo sangue. Hor doppo haverlo seguitato nascostamente molti giorni, una
volta gli venne fatto di trovarlo in luogo molto lontano dall'habitato, ove si
era inviato per alcuni suoi affari. Si che il misero vedensosi all'improvviso,
comparire addosso tutti i suoi nemici, volle di subito darsi in preda alla
fuga, per non restare in mano alla morte; ma i nemici facendo cerchio,
cominciarono à dargli à man salva delle pugnalate, dalle quali egli non si
difendeva in altra maniera, che con dire, San Domenico aiutami, San Domenico
soccorrimi. Seguitavano tuttavia i nemici di ferirlo, e gettatolo in terra, lo
trattarono come una bestia, e lasciandolo quivi per morto, si partirono. Ma il
ferito, ch'havea sentito esserlo venuto a difenderlo, il santo (come gli stesso
poi confessò) accortosi, che i nemici si erano quindi partiti, levatosi in
piedi, se ne andò con molta prestezza à casa. E quantunque avesse la testa
tutta ferita, anzi tutto il corpo, nulladimeno niuna ferita gli passò più, che
la semplice pelle: si che in breve tempo fù del tutto risanato, § egli andò à
Soriano à renderne le gratie al Patriarca S. Domenico».
• Pag. 185:
«Invocato il Santo partono i demonii da due corpi ossessi: Quanto sia grande il
nome del Santo Patriarca contro i
demonii infernali lo sperimentarono à suo prò nel medesimo anno [1614] due
ossessi, l'uno fu Francesco d'Aquino da Seminara, che malamente tormentato per
molt'anni da un maligno spirito, col solo raccomandarsi à S. Domenico si sentì
libero affatto, senz'haver mai più sentito veruno de' suoi tormenti…».
• Pag. 211: «Risana
uno, che haveva secca la metàdel Corpo. Colpito da un discenso apoplettico
rimase offeso, & addolorato in una spalla, & in tutta la metà del corpo
Matteo Fantino da Seminara in Calabria, siche da quella parte non poteva in
modo valersi. Applicossi alcuni rimedij per il spatio d'un mese senza profitto.
Difficile il morbo à curarsi, e scarsi gl'antidoti, che frà lo spatio di molto
tempo,e con poca speranza di buon'effetto potevano convenirli, lo feron
risolvere à ricorrere per la salute al Patriarca S. Domenico, e per moverlo a
pietà del suo male, e piegarlo alla gratia: fè voto d'andar da Seminara infino
à Soriano ignudo à presentarli una torcia. Piacque il voto, e la fede
dell'infermo al santo, e volle, che miracolosa fosse la gratia. Onde con non
meno allegrezza, che maraviglia incontinente si trovò sano della spalla, e di
tutta la persona; Siche andatosene alla festa del Patriarca presentò alla
Celeste Imagine il cereo, fattosi vedere da tutto il popolo di scalzo, &
ignudo, come promise, in testimoniana della gratia ottenuta».
• Pag. 546:
«158. Francesco Barettini da Seminara povero lavoratore havendo molto tempo
secca una spalla, quasi disperato di salute fè voto al Padre San Domenico, e
subito fu sano, in modo tale, che nel secondo giorno andò al campo à lavorare».
Croniche et antichità di Calabria:
• Cap XXIX:
«...D'altre hobitationi poste nel territorio Reggino, cominciando dal fiume
Crateia, infino a Seminara. […] quindi passando il fiume Catiano,
incontriamo un'altro illustre castello, chiamato Seminara, edificato dopo le
rovine di Tauriano, città antica di Calabria, dalla quale ragionaremo nel fine
di questo libro. E dà tre miglia in circa lontano dal mare, ma tiene
l'affacciata sua verso Oriente, e tra tutti paesi à se convicini, con
allegrezza grande nel matino si compiace salutare il Sole. E stata Seminara nel
principio della sua fondatione sedia Vescovale, perche nel tempo quando fù
distrutta Tauriano fuggirono le genti col Vescovo della Città, & habitarono
in Seminara, ma Roggiero Guiscardo Signore di Calabria, e Sicilia, veggendo
ch'allhora i cittadini di Montileone, erano puochi, e meno erano anco i
Cittadini di Seminara, con la volontà di gregorio settimo Sommo Pontefice Romano,
da questi dui Vescovati, cioè, Seminara, e Montleone ha formato uno nella città
di Mileto, nella quale il primo Vescovo è stato di nome Arnulfo, come appare
nelle scritture, e privilegij della stessa Chiesa Vescovale. Cominciò dopo
fiorire, e moltiplicare se stessa, ch'hoggi è habitatione molto nobile,
abbodante d'ogni cosa necessaria all'humano vivere, nelle cui campagne si fà
abbondanza d'oglio finissimo, e vi sono caccie di diversi uccelli, ma in
particolare, di turdi, faggiani, e starne, glu humini, e le donne sono
specolative, perdono di natura, e nella civile conversazione dimostrano
nobilmente la gentilezza e cortesia dell'animo. In questo territorio le
vindemmie sono abbondanti, si cava il gisso specolare, del quale si fanno
bellissimi ornamenti stuccati nelle fabriche. In questi luoghi patì il Re
Ferrando d'Aragona una crudele rotta da Francesi, come si dimostra appesso».
• Cap. XXX:
«Dell'entrata del Re Ferrando in Seminara, e dell'apparecchio della guerra da
farsi, tra lui, e Francesi. Dopo ch'ebbe il Re Ferrando racquistato S. Agata, e
tutto il convicino paese, possò insieme col gran Consalvo Capitano della
fantaria Spagnuola verso Seminara, dove una banda di Francesi quale (secondo
riferisce M: Paolo Giovio) temerariamente era uscita fuori à fare la scoverta,
fu rotta nel viaggio, dalla cavalleria Spagnuola, il Re con allegrezza grande
di tutti i cittadini fu ricevuto in Seminara. Era nel campo del Re Ferrando
Marino Corriale Signore di Terra nova, il quale ' havendo fin da principio
della guerra costantemente seguitato la parte aragonese, cioè d'Alfonso, e Ferrando,
era stato da Francesi discacciato dallo stato, perch'il Re Ferrando
tenendosi da lui ottimamente servito,
desiderava molto metterlo in casa, per potersi valere del suo valoroso, e
fedele servitio, e delle forze di lui, in fare quella guerra, e massimamente
per farsi strada sicura all'armata... »
• Cap. XXXI: «Ragionamento del Re
Ferrando al Gran Capitano Consalvo, in risolutione dell'uscita da Seminara a
battaglia contro l'esercito Francese. Havendo queste parole ilnteso il Re
Ferrando dal Gran Capitano (dice M: Paolo Giouvio nel predetto terzo libro) di
subito rispose a questa guisa. Noi harremo dunque a racquistare il regno, con
quella viltà, con la quale l'habbiamo perduto? e in così prosperi principi
tentando, et operando non provaremo adesso quella fortuna, quale stando a
sedere, e non combattendo provammo contraria in Romagna, e in terra di Lavoro?
Quasi ch'i principij delle guerre non siano di grandissima importanza negli
altri successi, e quelle cose le quali tu arditamente harai cominciato, se
valorosamente non continui a tarle al fine, non habbiamo vituperosa, e infelice
riuscita?... Noi siamo superiori di fanteria, e di cavalleria, e d'affettione
d'uomini, e finalmente ancora di favore di fortuna, e non sarà chi dubitare
della virtù nostra.
- Croniche et
antichità di Calabria. Conforme all'ordine de' testi greco, &latino, raccolte da'
piu famosi scrittori antichi, & moderni, ove regolarmente sono poste le
città, castelli, ville, monti, fiumi, fonti & altri luoghi degni di
sapaersi di quella provincia, Dal tr.p.f. Girolamo Marafioti da Polistena,
teologo, in Padova MDCI.
#D.
Descrittione di tutta Italia, di
F: Leandro Alberti bolognese: «…A man sinistra della via da Rosarno a à Siminara
(della quale poi parlerò) si scopre Polistena castello ben pieno di popolo, et
più oltre due miglia sopra il monteApennino il castello San Giorgio, et da otto
miglia alle radici dell’Apennino, la città di Terra Nuova, molto popolosa. Et
da San Giorgio sei miglia piu in alto Grotaria; et paßate dieci, castel Vetro,
et doppo sei Motta, Gioiosa, et doppo quattro Sillo. Ritornando a Rosarno, et
caminado venti miglia per l'antidetta pianura si arriva al fiume detto San Leo
dalla contrada S. Leo ivi vicina, et poi di Seminara, et altresì di S.
Giovanni dalla prefatta pianura. Passato detto fiume, et salendo all'alto colle,
ritrovasi Seminara ben'habitato castello. Appresso l'antidetto fiume, nella
soprascritta pianura di S. Giovanni, furono spezzati, et rotti i Francesi dagli
Aragonesi ne' tempi di Lodovico 2° Re di Francia, et poi da quest'altro lato di
detto fiume appresso Seminara, si dimostra il luogo sopra le rive di esso (come
io ho veduto) ove fu soverchiato l'essercito di Ferandino d'Aragona Re di
Napoli da i Francesi, l'anno precedente, ch'erano stati superati detti Francesi
dall'altra parte del fiume, in quella pianura avanti descritta. Et essendo
fracassato l'antidetto essercito di Re Ferandino, appena esso hebbe tempo di
fuggire sopra una cavalla senza sella infino al mare, ove salì in una barca, et
paßò a Messina, come etiando scrive Corio nelle historie di Melano. Passato
Seminara, si salisse sopra l'Apennino, ove si vede il bello, et buon paese.
c'ha Seminara intorno, tutto lavorato, et fertile, et pieno di vige, et
d'alberi producenduoli di saporiti frutti. Assai frumento si cava di esso paese
con altre biade, caminando sempre sopra i gioghi dell'Apennino, si arriva a i
folti, et spaventevoli boschi di Solano, ad dimandati i pericolosi paßi di
Solano, per i Ladroni che vi habitano..» (p. 213-214)
- Descrittione
di tutta Italia di F. Leandro
Alberti bolognese, nella quale si contiene il sito di essa, l'origine...,
in Venetia, MDLXI.
#G.
Grimaldi: «Varie
sono le opinioni circa la origine di questa famiglia che alcuni autori dicono
discesa da Grimoaldo, conte di Fiandra, fratello di Carlo Martello, o da Pipino
suo figliuolo, ed altri vogliono di origine Normanna, uscita dalla famiglia dei
Crespini. Di essa si hanno notizie nel decimo secolo, e fin dall'anno 1070 si
trova in Genova, ove fu una delle quattro principali famiglie, tenne pei Guelfi
ed ebbe Albergo nel 1528. Questa famiglia che si diramò in Italia, Francia e
Spagna, si divise in vari rami de’ quali uno giunse ad avere in libero dominio
il Principato di Monaco, ed ebbe l'Ordine del Toson d’Oro ed il titolo di Pari
di Francia. In Genova questa famiglia ebbe i seguenti Dogi... Da Genova, i
Grimaldi si diramarono in napoli, ove furono ascritti al Seggio di Montagna, in
Sicilia, in Catanzaro, in Lucera, in Aversa ed in altre città, nelle quali
vennero ascritti alla nobiltà. Da Giovanni Grimaldi Barone di Missimiri e da
Laura Carafa nacquero Luca e Nardo. Questi si stabilì in Catanzaro, e da Luca, Barone
di Missimeri, e di Crepari discese un ramo che stabilitosi in Seminara
si diramò poi in Lucera... » (p. 21).
• Domenico Grimaldi:
«(Marchese) Uomo insigne ed istruitissimo, nato in Calabria nel 1735 [a
Seminara, fratello maggiore di Francesco Antonio][4],
si recò in Genova ove reintegrato in quella nobiltà ottenne la Magistratura
della Repubblica. Appartenne all'Accademia dei georgiofili di Firenze, alla
Società Economica di Berna, alla Società reale di Agricoltura di Parigi ed alla
Reale Accademia di Scienze e belle Arti di Napoli. Fu autore di moltissime
opere.» (p. 25)
- Memorie delle Famiglie Nobili delle
Province Meridionali d'Italia, volume
sesto ed ultimo. Di
Berardo Candida
Gonzaga,
Napoli 1882.
• Francesco Antonio Grimaldi:
«(Marchese) Nato in Seminara fu illustre letterato ed autore di più opere tra
le quali la vita di Ansaldo Grimaldi e gli Annali del regno di Napoli» (p. 25)
- Memorie delle Famiglie Nobili delle
Province Meridionali d'Italia, volume
sesto ed ultimo. Di
Berardo Candida
Gonzaga,
Napoli 1882.
Palmi, Seminara e Gioia Tauro:
#R.
Ruffo:
«…trovasi Pietro Ruffo esser potente signore in Calabria prima della venuta de’
Normanni: fu egli poi Conte di Catanzaro e s'intitolava “Dei gratia Comes
Catanzarii”. Ed in quella epoca la casa Ruffo si vede aver raggiunto l'apice
della sua potenza, tanto che verso l'anno 1014 prestò il suo valevole aiuto
allo Imperatore greco nella riconquista che questi fece delle Calabrie e delle
Puglie contro i Saraceni, che se ne erano impossessati...» (p. 167).
«Feudi posseduti da questa Casa: Acconia, Acerenza, Acerra... Annoia...
Borrello… Bovalino… Brancaleone… Buda… Calimera… Calogero… Cropani… Ioppolo…
Oppido… Palma… Procopio… Rosarno… Scillone… Seminara… Solano… Tropea e
Casali…» (p. 169).
- Memorie delle Famiglie Nobili delle
Province Meridionali d'Italia, volume 5°. Di Berardo Candida
Gonzaga,
Napoli 1879.
Spinelli:
«La casa Spinelli è originaria napoletana, trovandosi le prime memorie di un
Ugone Spinello il quale per essere stato in Terrasanta a combattere per la Fede
unitamente a’ suoi figliuoli Filippo Giacomo ed Angelo, è ricompensato dal
Pontefice Urbano II nel 1094. Due famiglie di tal cognome vivevano fin da’
primi tempi della dominazione Normanna ed ambo feudatarie... [La famiglia
Spinelli] ha vestito l'abito di Malta nel 1474, ha avuto il Grandato di Spagna nel
ramo de’ Duchi di Seminara e trovasi ascritta attualmente nel Libro d’Oro…
Da Giovan Battista (A.) discese Ferrante Gran Pronotario che ebbe due mogli
avendo dal primo letto Giovan Battista, che originò i Principi di cariati, e
Duchi di Castrovillari estinti negli Spinelli Duchi di Seminara, e dal
secondo letto…» (p. 191). «Da Carlo (B.) sortirono Pietrantonio e
Salvatore, dal primo de quali discesero i Duchi di Seminara Conti di S.
Cristina e di Scale…» (p. 192).
«Contee: Acerra, Bianco...Oppido, Quaranta[5]*,
Santacristina, Seminara… Ducati: Aquaro... Castrovillari… Seminara, 1557» (p. 193).
- Memorie delle Famiglie Nobili delle
Province Meridionali d'Italia, volume 5°. Di Berardo Candida
Gonzaga,
Napoli 1879.
• Ferrante Spinelli: «Duca di
Castrovillari, conte di Cariati e Marchese di Mesuraca, fu valoroso condottiero
di Armati. Venuti i Francesi nel Regno di napoli capitanati da Lautrec, dopo di
essere entrati per gli Abruzzi si portarono ad assediare la città di Napoli,
passando poi nelle Calabrie comandati da Simone Romano conte di Capaccio e da
Francesco di Loria signore di Tortorella. Giunti presso Costenza dopo di aver
saccheggiato Laino, Rotondo e Normanno, ferrante che era stato nominato Capitan
generale delle Calabrie e di basilicata, con l'aiuto di 11300 spagnuoli
comandati da D. Pietro di Alarcon formò il quartier generale in Catanzaro.
Accostatisi i francesi al passo di Montesoro ebbe luogo uno scontro sanguinoso
dove furono sbaragliati dalla cavalleria dello Spinelli. Incerta intanto
seguitava la guerra allorquando sviluppatasi la peste nelle schiere francesi,
questi abbandonarono il Regno. Nello stesso tempo nella terra di Mesuraca
furono uccisi i feudatarii allora della famiglia Caracciolo rimanendo viventi
solo due faciullette Isabella e Porzia, salvate da un vecchio servo nella città
di Catanzaro ed accolte in casa da ferrante dal quale furono rinchiuse nel
monastero di S. Chiara. Cresciuta in età Isabella fu la seconda moglie di
Ferrante al quale portò in dote il Marchesato di Mesuraca e le terre di Scalea
e Tortorella, i quali feudi ricuperò Ferrante dopo la partenza de’ Francesi.
Vendè egli nel 1536 i feudi di Fuscaldo, guardia e Pantana. ebbe Ferrante il
Grandato di Spagna nel 1535, fu Gran Proto notario del Regno,e cavalcò in
Napoli nella cavalcata di onore per l'ingresso di Carlo V nel 25 novembre 1535.»
(p. 195)
- Memorie delle Famiglie Nobili delle
Province Meridionali d'Italia, volume 5°. Di Berardo Candida
Gonzaga, Napoli
1879.
• Carlo Spinelli: «Duca di
Seminara servì valorosamente Carlo V. Comprò lo stato di Cariati e fu Conte di
S. Cristina. Con Ferranta Carafa Marchese di S. Lucido ebbe incombenza dal
Vicerè Afa de Rivera di far fare col consenso dei Seggi di Napoli, una fontana
presso il molo con quattro capricciose statue già fatte da Giovanni da Nola.
Venuto in Napoli il Vicerè D. Antonio di Aragona, per imitare i suoi
antecessori resi celebri per avere spogliate le nostre Province, volle che le
dette con altre molte venissero portate in Ispagna. Fu Carlo colonnello di
Cavalleria, e col Principe di Scalea e col Duca di Castrovillari anche di casa
Spinelli formarono a proprie spese tre squadroni di fanteria combattendo contro
i francesi a trivento dove diedero prova di valore riportando la finale
vittoria. Fondò Carlo in Seminara il Convento di S. Maria della Grazia nel
1560.» (pp. 195-196)
- Memorie delle Famiglie Nobili delle
Province Meridionali d'Italia, volume 5°. Di Berardo Candida
Gonzaga,
Napoli 1879.
• Carlantonio Spinelli:
«Principe di Cariati, Duca di Seminara, Conte di Scale, Duca di castrovillari,
e Conte di S: Cristina, Ambasciatore straordinario al Sommo Pontefice per
presentare la chiena che il Reame pagava alla S. Sede. Fu Vicerè del Regno di
Aragona nel 1723,» (p. 198)
- Memorie delle Famiglie Nobili delle
Province Meridionali d'Italia, volume 5°. Di Berardo Candida
Gonzaga,
Napoli 1879.
#S.
Seminaria civitas et pagus Anna:
«Non longi a Synopoli Cosiletum tenue castellum est. Inde Melichlochia oppidum
ubi olei optimi copia ingens sit, et olivve quales Synopoli. Hic emporium in
annos singulos celebratur. Est et beati Heliae abatis divi Basilii monachi
templum, cuius corpus Calatri esse existimatur. Dehinc Seminaria civitas » (p. 174-175)
- Gab. Barrii Franciscani de antiquitate
et situ Calabriae. Libri quinque. Romae, Apud Iosephum de Angelis, 1571.
Storia di Napoli, di
Francesco Capecelatro, ridotta da Pierluigi Domini:
Tomo Terzo, Libro Settimo, sezione
prima, regno di Manfredi:
• cap. XXVII,
pp. 44-45: Si danno pure a Manfredi Martorano e Seminara: «XXVII. Or
mentre il conte in cotale strettezza di cose dimorava, privo d’ogni aiuto e
consiglio nel lido del mare, già sopraggiungendo la notte, passarono a caso
alcune barche di Salentini, su le quali per prezzo di mille ducati montò con
tutti i suoi, e a Napoli alla corte del papa condur si fece. Ma Gervasio di
Martina e Corrado di Trevic, dopo la prigionia di Giordano, girono a Cosenza,
ove furono lietamente ricevuti. Non così in Martorano, perchè non volendo i
suoi cittadini lasciar le parti della chiesa, nè combattersi agevolmente
potendo dalla gente di Manfredi per la fortezza del luogo posto fra rupi e
balze scoscese, furono astretti a pernottare in Pittarella, villetta indi poco
lontana: ma la stessa notte per opera di Roberto di Arelanen, cittadino di
Martorano che dimorava nell’esercito e partigiano di Manfredi, cangiarono
pensiero, e rendettero la città a Gervasio, che, preso da loro il giuramento di
fedeltà, andò con Corrado a Nicastro, ove era castellano Giovanni Mele, nipote
del conte Pietro, il quale sbigottito dal numeroso esercito che l’assaliva,
senz’altra difesa prèstamente si rendette. Lo stesso fecero tutte le altre
città e castella di quelle regioni insino a Seminara, in cui dimoravano
Carnelevario di Pavia, Boemondo di Oppido e Fulcone Ruffo nipote del conte
Pietro, i quali invitati da Gervasio a passare dalla parte del principe,
prestamente vi acconsentirono Carnelevario e Boemondo, e gli rendettero
Seminara (3). Ma Fulcòne far ciò non volle; perchè mentre Giordano suo fratello
era stato sotto la fede fatto da lor prigione, dubitò che lo stesso avvenisse
anche di lui: il perchè si ritirò a Santa Cristina, e ivi e nella Motta
Bovalina, parimente suo castello, con ogni suo potere si fortificò e si munì.
Seguitollo Gervasio; ma non potendolo per la fortezza di essi luoghi posti in
asprissimo sito aver nelle mani, nè volendo star a bada più lungo tempo, passò
a Ceraci, che senza briga venne prestamente in suo potere. Fermossi poi
coll’esercito nel piano di San Martino, così per tenere a freno Falcone che non
uscisse a fargli altro danno, come ancora per aver in suo potere il castello di
Stilo, il qual fortissimo essendo, era difeso da un certo Berardo tedesco, a
cui l’avea conceduto per sua vita il re Corrado; e questo Berardo, mentre si
scusava di non volerlo
e a niuno, ma mantenerlo egli stesso
sotto la fede del nuovo re e di Manfredi, ricettava poi in esso molti ribelli e
nemici di ambidue, che vi si ricoveravano per timore dell’esercito di Gervasio».
[Nota di Donini, sono state omesse
le altre] (3) Seminara è in Calabria Ultra I; presso questa terra i Francesi furono
rotti Panno 1504 da Gonzalvo di Cordova.
• cap: XXVIII, p.
45: I Messinesi vogliono aggiungere parte della Calabria al loro dominio;
assaltano Seminara, ma poi si arrendono a Manfredi: «XVIII. Risaputo intanto i Messinesi
i felici progressi dei capitani di Manfredi in Calabria, e considerando che ciò
era contro il loro intendimento (imperciocché avean proposto colla cagione di
cotai rumori di sottoporsi assolutamente sotto il lor dominio buona parte di
quella provincia), radunato un potente esercito di cavalli e fanti, glielo
inviarono contro. E mentre Gervasio e Corrado dimoravano nel piano di San Martino,
assalita i Messinesi all'improvviso Seminara, la presero e saccheggiarono in un
subito, e carichi di preda si avviarono per ritornare addietro a Reggio.
Gervasio, inteso questo avvenimento, divise in tre parti d’esercito, e con una
restò esso Gervasio in guardia di Fulcone, coll’altra andò Corrado per innanzi
a’ Messinesi e impedir loro il cammino, e colla terza si pose in traccia di
Roberto di Archia in compagnia di molti di Seminara che seco si unirono con
isperanza di ricuperar la preda; e raggiuntili poco più in là di Seminara nel piano
di Corone, posto tra detta città e ’1 bosco di Solano, e assalitili con molto
valore, dopo breve battaglia li poserò in rotta uccidendone e facendone
prigione gran numero, con ricuperare anche la maggior parte della preda fatta
in Seminara ; i Messinesi che colla fuga camparono dalle mani de’ soldati nemici,
furon in gran parte per le strade e per li boschi da' villani uccisi, in guisa
tale che pochi ne ritornarono alle loro
case. Questa sconfitta afflisse di maniera i Messinesi, che tosto, deposta ogni
ambizione e orgoglio, si. resero a Manfredi insieme col castello di Calanda,
che aveano dopo la sua partita ottenuto dagli uomini del conte Pietro.»
Libro Ottavo, Sezione Terza:
• cap. XXXV, p.
267-269: «Re Pietro fa venire in Sicilia la sua famiglia, indi passa in
Calabria. -XXXV. Or concluso tutto quello ch’era mestieri per lo destinato
duello, il re Pietro, temendo che in sua assenza il principe di Salerno e gli
altri stimati capitani di Carlo avessero assalita la Cicilia, e cagionatogli in
essa notabil danno, deliberò di lasciarla in governo che non avesse avuto a
temere di nulla. Inviò dunque con quattro galee don Ruiz Ximenes de Luna a
condurre in Cicilia la regina Costanza sua moglie con don Giacomo, don Federico
e donna Violante suoi figliuoli, acciocché dimorassero nell’isola per tener a
freno i Ciciliani, e loro dar anche a divedere che, lasciando così cari pegni
in loro potere, non si sarebbe dimenticato di difenderli. Significò ancora a
don Alfonso suo primogenito e general vicario ne’ reami di Spagna ciò che si
era statuito, e gli comandò che apparecchiasse quaranta cavalieri de' migliori
e più valorosi che colà erano e gliel’ inviasse alla frontiera di Bearne,
acciocché potesse scegliere da quelli e dai cavalieri che seco givano i più
atti ad entrare alla destinata battaglia. Propose il re Pietro, prima di gire
al duello, di passare in Calabria e seguitare il re Carlo in guisa tale che
l’avesse costretto o di venire seco a battaglia o di partirsi da quella
regione, imperciocché avea avuto contezza, come il Zurita scrive, che molti
luoghi stavano alterati per ribellarsi; e quelli di Reggio gli offerivano che,
passandovi egli in persona, l'avrebbero ricevuto per signore. Deliberato dunque
di farvi guerra, valicò il Faro col suo esercito. Il quale intendimento
significato a Carlo, considerando ch’era di là partita la sua armata e ch’egli
non era bastevole nè a difendersi in campagna, nè a difender Reggio e gli altri
luoghi di quelle riviere, di colà si partì lasciando in essa città il principe
Carlo, il quale per la stessa cagione non tenendovisi sicuro anch’egli fuori ne
uscì e ne andò al piano di San Martino, dando a vedere che volea colà
combattere col re Pietro. Ma quei di Reggio, trattando di rendersi
all’Aragonese, che stimava molto quel luogo, per essere il primo di Calabria
volto alla Cicilia sopra la marina del Faro, gli avvisarono tosto che i
Francesi eran via partiti: onde il re Pietro a’ 14 di febbraio vi passò con una
galea, recando in sua compagnia Alaimo di Lentino, Bernardo di Pietratagliata e
Beltramo di Cannella; e lietamente ricevuto dai Reggiani, vi passò poi subito
tutta l'armata, sulla quale erano trecento cavalli e cinquemila Almogaveri; la
novella della cui venuta sparsasi per le circonvicine regioni, cagionò che se
gli rendessero la Motta, San Lucito, Sant’Agata, Pontedattilo ed altri luoghi,
e con essi la città di Gerace. Dopo la qual cosa un giorno, che fu il ventesimo
di febbraio, uscì il re Pietro da Reggio con trenta Almogaveri ed un sol
cavaliere, e fu a riconoscere il sito e la fortezza di Sinopoli e Seminara, ove
stava ripartita la maggior parte dell’esercito del re Carlo, e di là passò a
Solano, ove aveva avuto novella di certa gente da cavallo, che stava in
Grassano, che erano presso a cinquecento Provenzali, di cui era capitano Rai-
mondo del Balzo, fratello di
Bertrando conte di Avellino. Inviò alcune compagnie di Almogaveri, perchè
combattessero quel luogo, i quali di notte tempo, assalito all'improvviso,
subitamente il presero, uccidendo la maggior parte de’ Francesi che colà erano;
e fatto prigione Raimondo, uccisero ancor lui senza conoscerlo; e quelli che
via fuggirono, si salvarono nella fortezza de’ boschi di quella montagna.».
• cap. XXXVI, p.
269-270: «Le genti di re Pietro prendono Seminara.- XXXVI. A’13 poi del mese di
marzo colla maggior parte del suo esercito uscì il re Pietro da Solano
nell’inchinar del sole per gire a combattere Seminara; imperciocché stavano in
presidio di quel luogo, ch’era de’ più stimati di Calabria, da ottocento cavalli
tra provenzali e francesi. Si avea a camminare per la montagna di Solano,
ch’era un passo asprissimo e molto difficile con boschi di strana foltezza.
Fece dunque porre alcune squadre di Almogaveri in guardia di quel passo; e
partendosi con tutta la sua gente ad un’ora di notte, passò la montagna senza
intoppo alcuno. Givano innanzi quaranta cavalieri e duemila Almogaveri, i quali
giugnendo improvvisi in Seminara prima che quei cittadini si ponessero in
difesa, guadagnarono una porta ed alcune torri del muro volte a mezzogiorno:
venendo loro airincontro senza niun ordine i Francesi, furono de’ primi
ad entrar colle loro compagnie
Bernardo di Pietratagliata e Pietro Arnaldo di Bottanac; il quale, camminando
verso la piazza, si azzuffò con un grosso drappello di Francesi che colà aveano
fatta testa, e per l'altra parte Bernardo andò discorrendo per le strade
combattendo co’ nemici che furono per ogni parte vinti e sconfitti, con rimaner
prigione il lqr capitano nominato Raimondo di Villanuova: e saccheggiata
parimente con poco contrasto la città, vi fu ferito di una pietra Bernardo, che
valorosamente combattette fra’ primi. Fortificò il re e munì di soldati
Serainara e tutti gli altri luoghi che in Calabria occupati avea, lasciandovi
in guardia cinquecento cavalli e duemila Almogaveri, acciocché fronteggiassero
al principe Carlo che vi era rimasto; essendosi già il padre avviato per
passare in Francia e di là a Bordeos destinato al duello. Inviò il principe in
Napoli Adinolfo di Aquino conte dfella Cerra, consigliere e familiare del re
suo padre, a trattare co’ Napoletani alcuni gravissimi affari, che nel reale
archivio vengono taciuti; nella cui lettera di credenza indirizzata a’
Napoletani così cavalieri come popolari, loro dà conto come era egli passato da
Reggio al piano di San Martino per consiglio de’ conti di Alansone, d’Artois e
di Borgogna, di Giovanni di Monforte conte di Squillace, di esso Adinolfo
d’Aquino conte della Cerra, di Pietro Ruffo conte di Catanzaro e di altri
cavalieri e baroni in gran numero che seco erano.»
- Storia
di Napoli di Francesco Capocelatro, a migliore lezione ridotta dal
prof. Pierluigi Donini, Tomo III, Torino-Napoli, 1870.
Telesio:
«Famiglia originaria di Calabria, e che prese nome dalla città di Telesio che
ebbe in feudo, la quale fu detta Ajello. Non mancano autori che la dicono
discesa da Ponzio Telesino valoroso capitano in tempo della Romana Repubblica.
Le prime e certe memorie di essa si hanno in tempo di Federico II Imperatore,
trovandosi Pietro e Guglielmo Telesio essere Cavalieri. La famiglia Telesio
trovasi feudataria sotto gli Svevi, ha goduto nobiltà in Cosenza, ha vestito
l'abito di Malta nel 1588, ed ha posseduti i feudi di Castelfranco, Cerisano,
Marano, Melicucco, Mattafellone, Sansosti, Santangelo e Seminara.» (p. 213)
- Memorie delle Famiglie Nobili delle
Province Meridionali d'Italia, volume 5°. Di Berardo Candida
Gonzaga,
Napoli 1879.
Ugo Cardona:
«Con 3000 fanti siciliani e 300 cavalli passò in Calabria e ruppe Giacomo
Sanseverino conte di Mileto ed il Principe di Rossano Marzano. Battette i
Francesi presso Seminara, fugando Monsignor d’Obegni, e facendo prigionieri
Onorato ed Alfonso Sanseverino» (p. 187)
- Memorie delle Famiglie Nobili delle
Province Meridionali d'Italia, volume
1°. Di
Berardo Candida
Gonzaga,
Napoli 1875.
#U.
Un periodo delle istorie siciliane
del secolo XIII, scritto da Michele Amari.
• Capitolo IX: Primi affronti
delle soldatesche in Calabria (p. 106ss.): «Tornatosi
a Reggio, [re Pietro[6]]
conduce i suoi pei boschi di Solano; e a otto miglia dal grosso delle genti
francesi, e non guari lontano dalle altre lor poste, li accampa in un
rispianato che ha nomi la Corona[7],
sopra alpestrie salvatichi monti, sicuro da assalti, comodo portarne su i
luoghi bassi d'intorno. Quivi i greci del paese, usi a praticar senza sospetto
tra i nimici, d'ogni fiatar di quelli il ragguagliavano. Cheto aspettando ei
posava, come se quelle foreste lo avessero inghiottito; tantoché in Calabria il
bucinavano già uom dappoco e acquattatosi per paura. Tornatosi a Reggio, conduce i suoi pei boschi di
Solano; e ad otto miglia dal grosso delle genti francesi, e non guari lontano
dalle altre lor poste, li accampa in un rispianato che ha nome la Corona, sopra
alpestri e salvatichi monti, sicuro da assalti, comodo portarne su i luoghi
bassi d’intorno. Quivi i Greci del paese, usi a praticar senza sospetto tra i nimici,
d’ogni fiatare di quelli il ragguagliavano. Cheto aspettando ei posava, come se
quelle foreste lo avessero inghiottito; tantochè in Calabria il bucinavano già
uom dappoco e acquattatosi per paura. Quand’ecco stando agli alloggiamenti a
Lagrussana presso Sinopoli cinquecento cavalli capitanati da Ramondo de Baux,
mentre stanchi di gozzoviglia senza scolte straccurati giaceansi una notte,
repente un fracasso li riscuote; gli almugaveri come torma di lupi saltano tra
gli alloggiamenti; scannano, rapiscono; sconosciuto tra i gregari ammazzan
Ramondo; e prestissimi dileguansi col bottino. Non andò guari che un Arrigo
Barrotta tesoriere di Carlo, recando sei mila once per gli stipendi dello
esercito, nella terra di Seminara albergò; stanza in quel tempo di
ottocento cavalli francesi. Avutane spia re Pietro, l’adescò lor mala guardia,
e più la moneta. Onde il tredici marzo a sera, ei stesso con trecento cavalli e
cinquemila almugaveri calavasi chetamente da Corona: e giunto a tre miglia da Seminara,
fatte posar le genti svelò il meditato colpo. Quel generoso Alaimo il
contrastava. Qual lode a re, dicea, da notturna rapina, e disutile strage? Vano
il pensier sarebbe di tener Seminara sì presso al campo nimico. Lasciata
dunque la misera terra, al campo si vada: lì il principe di Salerno, il fior
della corte di Francia, sbadati, sicuri; investisserli risolutamente; che
l’audacia partorirebbe fortuna, o gloria certo. Taccion le istorie il contegno
del re, le parole, che furon certo pacate, i proponimenti, forse fieri e
sinistri, che gli si ribadirono in mente contro l’eroe di Messina. Ostinato a
Seminara ei marciò. Dove mentr’una schiera accostavasi al muro
debolmente combattuta delle guardie, gli altri occupate velocissimi le porte[8], troncano ogni
difesa. Il re, come se pratichissimo della terra, dritto sprona all’albergo del
tesoriero: nè la moneta pur trova, mandata al principe il dì innanzi. Allora, postosi
fuor dalle mura, alle riscosse contro gli aiuti che potesser venire dal campo,
inondan Seminara gli almugaveri. Il Barrotta, d’ordine chierico, soldato
a’ costumi, desto dal fracasso, lasciando una donna che seco avea, sorge, dà di
piglio all’armi, e fieramente difendendosi è morto. Cadon altri resistendo; e
fuggono i più, qual senza panni, quale a piè, qual balzando sull’ignudo
cavallo; ma era gente sì ordinata, che, non ostante il subito scompiglio, da
cinquecento rannodaronsi di lì a una mezza lega aspettando il dì, e partendosi
poi i nostri, rientrarono in Seminara. Messa questa intanto a ruba e a
guasto: per severo divieto del re furon salve tuttavia le vite degli abitanti,
che fuggendo si dileguaro. Al nuovo albore straccarichi di preda rinselvansi i
Catalani e i Siciliani alla Corona; non molestati dal nemico, il quale
agli avvisi dei fuggenti s’era desto a tumulto, ma sorpreso e scoraggiato sì
fattamente, che volendo il principe di
Salerno muover pure a un assalto, niuno nol seguì. La dimane ei manda un
drappel di cavalieri a Seminara; da’ quali intendendo non potersi munir
contro nuova fazione, perchè non n’abbia comodità il nimico, la fa sgombrar
anche da terrazzani, spartiti per le altre terre di Calabria ad accattare il
pan dell’esilio[9]. Con questo notturno
guerreggiare e occulto adoprare, il re d’Aragona occupò parecchie terre intorno
il campo stesso nemico; menomandosi ad ogni dì le speranze nei Francesi, che
senza ferir colpo consumavansi. Per lo contrario crescea Pietro di riputazione
e di forze; e la catalana e siciliana gente imbaldanziva per la fortuna dell’arme
e per lo ricco bottino: che per lo bottino, scrive un guelfo, assalivan le
terre; per la moneta del riscatto facean prigioni, e per le cuoia rapivan gli
armenti: e anco dal catalano Montaner s’intende come quelle masnade a gara
chiedesser le più rischiose fazioni per arricchirsi, e cupide e animose nè a
numero nè a forza de’ nemici badassero.»
• Capitolo XIII: Agata Seminara[10].
- «Pag. 175:
«…e mentre il re pensava chiamar parlamento per chiedergli moneta, ne fornirono
i cittadini di Catania largamente: tra i quali una vedova, Agata Seminara, per
nome, presentavagli dugento once d'oro, e tutti i suoi gioielli per la difesa
della patria».
• Cronache Catalane: «Cap.
CII: p. 833ss: in
questo mentre il principe della Morea figliuolo di re Carlo che stavasi a Reggio,
e che seppe che il re d‘Aragona volea passare in Calabria. ne usci con tutta la
oste, e se n‘andò verso la pianura di San Martino che ne è lunge dodici leghe;
e sgombrò la città di Reggio, cacciando ottocento cavalieri francesi e
provenzali in una città che è in Calabria alla distanza di due giornate di
cammino dentro terra, sulla via della pianura di San Martino. Infrattanto il re
d' Aragona messosi all'ordine con tutta la sua oste passò a Reggio e vi si
accampò validamente; poi cavalcò alla volta d’una città che appellano Calanna;
e qui dagli abitanti seppe che a Seminara stavano ottocento cavalieri
francesi e provenzali, che ve li avea mandati a stare il principe; e gli
aggiunsero che tra quella città dov'era e Seminara troverebbe una
stretta per la quale dovevano passare, e dove cento uomini a piedi ne
terrebbono addietro duemila, e che insomma non potrebbono passare, e che
sarebbe loro forza rifare i passi ed essere sconfitti. Quando il re d' Aragona
seppe queste cose si allesti con tutto l‘esercito, e una notte, dopo aver ben
satollati i cavalli, cavalcò e si condusse a quel mal passo che era assai
vicino a Seminara, e comandò vi entrassero duemila almogavari e quaranta
cavalieri, prima che fossero scoperti in città. Gli almogavari udito il comando
del re se ne andarono verso la città, e le scolte sentendoli avvicinare. si
dettero a gridar forte e a mettere a rumore tutta la città! i cavalieri e gli
abitanti che dormivano nei loro letti scesero sopraffatti e impugnarono le
armi; e non mancarono di quelli che inforcati i cavalli fuggirono fuor di
città, ma non giovava. imperciocchè incappavano in mano di quelli che stavano
fuora, e tosto erano uccisi o fatti cattivi. Ma gli almogavari andarono a
sfondar le mura della città e vi si cacciarono; e i cavalieri dietro; poi
appiccarono il fuoco a una parte della città e la corsero furiosamente , e
trovati i cavalieri in armi pelle case, pelle vie e pelle piazze ne uccisero
quanti ne potettero avere. E don Pietro Arnaldo di Botonat e i cavalieri
ch'erano entrati seco in città, fecero capo sopra una piazza, dove si
imbatterono in una numerosa compagnia di cavalieri francesi e provenzali, e
andarono loro addosso; sicché rovesciarono parecchi de’ loro cavalli e molti ne
uccisero. Don Berlinghieri di Pera Tallada andò a ferir due cavalieri francesi
colla lancia in resta, e li passò fuor fuora ambedue , e li rovesciò morti. Don
Pietro Arnaldo di Botonat s'imbatté anche in un cavaliero di Provenza, uomo
molto onorevole che aveva nome don Raimondetto di Villanova , e volle dargli
una lanciata , ma il cavaliero che era tutto armato gli gridò: «Non m’
uccidere! e disse che era tal e tal cavaliero e gli manifestò il suo nome; e
ch’e' potrebbe averne largo guiderdone. A queste parole don Pietro Arnaldo di
Botonat corse ad abbracciarlo a mezza vita, lo scavalcò di sella così tutto
armato com'era, se lo pose davanti sul cavallo e trasselo fuor della piazza
perché non lo uccidessero, e condottolo fuor di città, consegnollo a’ suoi
scudieri perché lo custodissero. Poi saccheggiata tutta la città, vi trovarono
oro, argento e tanta moneta che uomo non potrebbe sapere il numero de‘iìorini
d'oro, delle doppie e dei carlini e dei tornesi d' argento; e ne tolsero
bellissimi vasellami d‘ argento e bei bardamenti da sella , e ricchi ornamenti,
e cavalli e muli e ronzini. - CAPITOLO CIII: Intanto si fece giorno e tornarono
a Calanna; e quando il principe che stava nella pianura di San Martino, che è
distante due leghe da Seminara, ebbe la notizia che tutti quei di Se minara
erano stati uccisi o colti prigioni, n’ebbe gran cruccio, e con tutta la sua
oste corse a Seminara , e trovolla tutta incendiata e sossopra, e i suoi
cavalieri uccisi pelle vie, e vide non esser consiglio da chiedere o da dare, e
tornossene via adirato e pieno di maltalento, e non fa maraviglia. E' credette
che il re d’Aragona venisse ad assediarlo con tutta la sua oste. e uscì dal
loco dov’era,e passò un gran fiume, e presso a questo si attendò e fece
circonvallare-».
Vita di Consalvo di Cordova: «
[43] …dunque arrivò Consalvo a Messina con cinque mila fanti, e seicento
cavalli armati all'usanza di Spagna, quasi in quel tempo che Carlo havendo
distribuite le guardie per tutte le prefetture del regno venuto a Roma da
Napoli con la più eletta parte dell'esercito fuggendo da lui il Papa, s'inviò
per ritornare in Francia... dal porto di Messina passarono a Reggio... Quasi
tutti i Francesi si salvarono nella rocca... Ricuperato dunque Reggio, e
ritirandosi i Francesi nelle terre più forti… perioche i contadini armati
havevano preso i passi e le strade, e Consalvo per cagion di spiare haveva
mandato alcune bande di Spagnuoli a rubare, da quali una banda di Francesi la
quale si ritirava a Seminara, in una profonda valle fu circondata e rotta » (p.
45ss)
- La vita di
Consalvo Ferrando di Cordova detto il Gran Capitano. Scritta per
Mons. Paolo Giovio, Vescovo di Nocera, & tradotta per M. Lodovico
Domenichi. In Fiorenza MDLII.
[1] Trattasi dunque di
testimonianza di pochi anni prima del 1856. Delle antiche mura oggi non è
rimasta pietra, eccetto i due pilastri in Sant'Antonio, ai due lati della
strada che venendo dal Pontevecchio
immette in Seminara.
[2] La data
è probabilmente erronea, e trattasi però di refuso, Poco sopra l'ultimo anno
menzionato è il 1621. La Lapide marmorea in Seminara è concorde sul giorno 14
marzo ma con l'anno 1622. La Lapide venne verosimilmente composta poco dopo la
morte.
[3] La data
è probabilmente erronea, e trattasi però di refuso, Poco sopra l'ultimo anno
menzionato è il 1621. La Lapide marmorea in Seminara è concorde sul giorno 14
marzo ma con l'anno 1622. La Lapide venne verosimilmente composta poco dopo la
morte.
[4] Qui
l'Autore non dice, o meglio non ha interesse a dire, per il suo oggetto, che
Domenico era nato a Seminara ed era fratello maggiore di Francesco Antonio, la
cui importanza culturale era almeno pari a quella del fratello maggiore.
Entrambi vengono dal Venturi annoverati giustamente fra i maggiori
intellettuali napoletani del Settecento. Di essi ci occuperemo ampiamente in
altre sezioni dei Nuovi Materiali.
[5] Esiste
ancora oggi nel comune di Oppido, una località di nome Quarantana, da me
visitata che appare come un insieme di case destinate ai contadini che
lavoravano in campi. Vi è fra queste case un palazzo signorile con una scala in
granito, e dove al primo pianerottolo si legge una iscrizione, da me copiata,
riferita agli Spinelli. La località ha anche una chiesetta, che mi è stata
aperta, e dove si conserva la statua di una bellissima madonna, da me
fotografata. Al momento non ritrovo né l'iscrizione né le foto della madonna,
della chiesa, della località.
[6] Pietro III d'Aragona, re
di Sicilia, dal 1282 al 1285, in guerra con i francesi angioini.
[7] I Piani della Corona: il
toponimo era dunque già in uso in quell'epoca, nell'anno 1282.
[8] Se con "muro" e
"porte" qui si intendono le mura cittadine, vuol dire che Seminara
già nel 1282 era fornita di mura. Non pare vi siano dubbi.
[9] E dunque gli antichi
profughi da Taureana ritornano alla sorte di profugo.
[10] La relazione del cognome
con Seminara non lascia adito a dubbi. Non sapremo mai per quali vie Agata si
trovi a Catania e come Catania sia diventata a tal punto la sua patria.
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