21.7.19

Platea Aquino. § 16. Santo Morabito qm Isidoro.

B. Catasto. Platea Sommario §§.
 Successione §§: §15. ↔ §17.

§16. Santo Morabito qm Isidoro. - Santo Morabito Sidoro, e figlio di Lorenzo Murabito, questo Lorenzo era figlio di Antonio Sidoro[1], e detto Lorenzo era dell’uno principale obbligato al primo istrumento. Morto detto Lorenzo subentrò il mentovato Santo, e pagava ogn’anno docati quattro grana undici e cavalli 3, oggi però paga carlini trentacinque e grana otto, che manca carlini cinque, grana tre e piccoli quattro, che appresso parleremo di Tommaso Genuese e diremo la causa, puoi detto Santo accasò a una sua sorella con Domenico Cacciolo Milignano, e ci diede porzione di vigna in dote, e l’anno passato che era 1763[2] detto Cacciola mi diede carlini dodici e mezzo e li tirai nel manuale a conto del debito di Santo, e di questo modo si trovano l’eredi di Lorenzo Morabito dentro il fondo di S. Vito, e pagano ogni anno di cenzo perpetuo enfiteutico annui carlini trentacinque e grana otto, il Matrimonio di detto Milignano Cacciola l’ha fatto Notar Zetera 1761[3].


[1] Ciò che risulta a c. 23v nell’Onciario del 1742 è quanto segue: un fuoco è intestato a Antonio Morabito del qm Isidoro, di anni 63, bracciale, vivente, sposato con Santa Tomeo di anni 45, dalla quale ha più figli fra il maggiore è Lorenzo, bracciale, di anni 26, sposato con Rosa Cidone di anni 20. Hanno un figlio di nome Santo che all’epoca, nel 1742, aveva appena 6 anni. Dal testo di Tiberio il detto Lorenzo muore piuttosto giovane e lascia erede suo figlio Santo, al quale si riferisce Tiberio come parte negoziale. In contrada S. Vito, nel 1742, ad Antonio Morabito qm Isidoro risulta il possesso di un fondo vitato con terreno aratorio, diviso in due parti, di moggia sette, confinante con i beni di Cristofalo Capoferro, l’una porzione, e l’altra di Antonio Avellino, e Mercurio Giofrè, stimata la rendita annua in ducati sette. Ancora in contrada la Croce della Vina seu S. Vito possiede un altro fondo vitato di un moggio, confinante con i beni di Antonio Giofrè e di Domenico di Andrea, stimata la rendita in annui carlini ventisei. Nella stessa contrada possiede un altro fondo vitato di un moggio e mezzo, confinante con i beni di Michiele Tomeo e il fiume corrente, stimata la rendita in annui carlini venticinque. Fra i pesi che sono da dedursi vi è un censo perpetuo di ducati sette e grana trenta da corrispondere alla magnifica donna Petronilla Aquino sopra il fondo in contrada S. Vito.
[2] E dunque Tiberio sta scrivendo questa pagina nel 1764, se l’anno passato era il 1763? E sempre che il testo tipografato del 1932, a noi dato in prestito per qualche tempo, in fotocopia,  assai sbiadita e con parti imbianchite, non si discosti dall’originale, per errori di trascrizione. L’unica menzione che si trova nell’Onciario di un Tomaso Genoese è alla c. 32v, nel fuoco di Antonino d’Arena, che in contrada S. Vito seu la Nunziata possiede un fondo vitato in due partite, di cui l’una confina con i beni di Agostino Longo e di Tomaso Genoese. Altro con questo nome non si trova.
[3] Nel 1761 rogava il notaio Domenico Zetera, i cui atti per l’anno indicato dovrebbero trovarsi in Palmi.
 
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